Accompagnati dallo scorrere dell’acqua del rio Rin, risalendo a monte di tutti gli opifici della Roggia dei Mulini, arriviamo all’OFFICINA ELETTRICA di Leo Baldovin Carulli che mi sta guidando in questo percorso tra rocce di gesso ed acqua.
È l’unica ancora funzionante tra le centraline storiche del Cadore.
Se pensiamo al nostro mondo di display, touch screen e topi all'inglese, entrando qui sembra che il tempo si sia congelato, sembra ancora una magia che la forza dell’acqua si possa trasformare in energia elettrica.
Qui si fa spazio il regno di  Leo che con dense parole mi racconta del suo affetto e della sua dedizione per quel luogo di lavoro che a tratti potrebbe avere il profumo della sua abitazione.

Tra turbine Pelton di tipo svizzero, regolatori di velocità e alternatori trifase si integrano, in una curiosa omogeneità, piccoli ricordi, targhette, foto, libri, segni religiosi, lancette ferme di orologi forse testimoni di un tempo quasi tangibile senza ore e senza orari che il suo laborioso proprietario ha vissuto in questo luogo. Se qui spuntasse dietro ad un reostato un materasso non ci sarebbe da meravigliarsi!
Una sorta di laboratorio di un qualche mago meccanico che giorno e notte osserva, veglia, aziona e impasta le forme di energia per garantire luce a tutto il paese.
Accanto a quell'alone importante e misterioso del quadro di controllo su fondo marmoreo, si percepisce nell'aria la meraviglia dei tanti bimbi che vengono a far visita alla centralina di Leo e la generosità con cui lui li accoglie facendoli entrare a sbirciare nel suo mondo.
Così un poco mi dispiace quando Leo chiude la porta di quell’atmosfera pregna e curiosa e mi riaccompagna per un pezzo di strada lungo la via dei vecchi mulini.

Gradatamente, passando  per le vecchie e particolarissime case di legno del paese, scorgendo strane meridiane sulle facciate, cammino e sofficemente ritorno verso la realtà, saluto Leo che ora tornerà a controllare che sia tutto a posto alla sua officina e poi magari “ un salto alla diga su perché questi giorni ha piovuto molto..”. 

Storia scritta da: Susanna Cro



A pochi passi dalla piazza centrale di Lozzo di Cadore, è possibile immergersi ed essere catapultati in un luogo dove il tempo sembra perdere le sue coordinate facendo rivivere il passato come fosse presente.
Mi guidano i grandi occhi di Leo Baldovin Carulli , cappello e scarpe che conoscono alla perfezione il percorso sterrato lungo le acque del rio Rin nel quale ci stiamo incamminando e che ci porterà più in su alla Roggia dei Mulini.
Nella quieta passeggiata di una giornata autunnale a poco a poco si avvicina a noi prendendo forma  tra pietra, legno ed acqua, il primo opificio con delle grandi ruote da mulino che magnetizzano l’attenzione.

È quello da poco restaurato e quando entriamo siamo completamente avvolti  dalla sensazione calda e ovattata del nuovo legno che ci circonda, un denso silenzio viene amplificato da
rari lenti cigolii degli ingranaggi e il racconto lieve di Leo mi fa incredibilmente sentire come se fossimo là noi a dover svuotare i sacchi di orzo e di grano nella grande macina a pietra e pronti poi a raccogliere la farina. Si sente la storia di quel luogo, di chi ci ha lavorato, di chi se ne è preso cura e proseguendo nella visita agli altri opifici soprastanti la sensazione è quella di chi, per la necessità di poter utilizzare al meglio tutte le risorse, ha creato nel proprio territorio un luogo di trasformazione intelligente e rispettoso.
Qui l’acqua, attraversando le grandi ruote di legno dei mulini, produce una forza motrice che muove macine per farine, pila orzo, folli, seghe, magli e forge delle fucine come quella del mulino poco sopra “dei Pinza” dove la luce impolverata che filtra dai vetri e i manufatti appoggiati lì al tavolo sembrano farci entrare a curiosare in un luogo da poco dismesso.

L’acqua di scarico della turbina è convogliata a creare dei lavatoi tra la pietra e pare esserci qualcosa nell’aria che fa percepire quelle donne lì, ritrovate, a lavare i panni al di là del ponticello.
Occorreva ingegnarsi e questi sono i luoghi dove è stato fatto.
Pare di essere capitati in un giorno di festa, pare che all'indomani tutte le attività riprendano, tutte le persone si ritrovino ad abitare questo posto, pare di sentire il chiacchiericcio e i rumori del macinare, del battere il ferro, del lavorare la lana eppure tutto è già accaduto in questo luogo vivo dove si sente catturata e trattenuta l’energia della trasformazione.
Proseguiamo ancora un poco più in su, in direzione della centralina elettrica il cui proprietario storico è proprio Leo.
Qui, dicono, un piccolo stralcio d’antiquariato è ancora in vita..


 Storia scritta da: Susanna Cro


Salendo tra prato e nuvole a Pozzale di Cadore, ad un certo punto si può davvero pensare di fare una pausa con la P maiuscola, per ristorare le membra e godersi l’incantevole vallata.
E allora… curva a “gomito” sulla sinistra, occhi aguzzi per seguire il cartello in legno “La Pausa”, passaggio sotto l’arco tra mura e sassi e la strada sterrata che prosegue porta al posto giusto!

Qui la luce ambrata del sole d’autunno illumina questo ritaglio di paradiso dove Nicola e Federica hanno dato vita ad un luogo che ha il caldo profumo di legno e di casa.
Hanno messo a servizio della natura e del territorio la loro passione, il loro ingegno e le loro mani per creare un agriturismo che crede nell'accoglienza turistica, nella cura e nella qualità.
Entrando tutto ciò è percettibile.
Attorno al tavolo, in quella atmosfera calda, mi raccontano di come lui, con il desiderio per questa vita fin da piccolo, e lei, architetto, hanno deciso di seguire questa strada partendo da zero, dandosi da fare tra inventiva, fatica, inevitabili errori di un mondo, quale quello agricolo, caratterizzato dall'imprevedibilità e la convinzione che vivere di montagna, qui in Cadore, possa essere possibile.
Il loro è un vero agriturismo che propone a tavola cibi realizzati rigorosamente con i loro prodotti e con quel condimento invisibile che rende tutto più gustoso e speciale: la passione per il proprio lavoro.
Tra formaggi misto capra, speck e pozzaline, mi colpisce il sincero rispetto per gli animali che si respira qui, la considerazione dei loro ritmi e delle loro necessità, l’idea che occorra dare benessere alle bestie e che così, spontaneamente, riescano a godere di ottima salute.
È chiaro che i prodotti che ne deriveranno non potranno che essere di qualità indiscutibile.
La cura riservata agli animali diventa tangibile nel sorriso di Federica che, conservando una fresca meraviglia, mi racconta come lì ci siano maiali davvero felici che mangiano radici e stanno fuori tutto il giorno, ricorda quella volta che hanno dato rifugio ai caprioli selvatici nel freddo dell’inverno o di quando corrono a recuperare qualche capretta intraprendente girovaga di notte per le vie del paese che va curiosando di soppiatto alle case dei pozzalesi.

Sto per lasciare questo scenario di mondo animale e naturale, finisco di bere il tè seduta in questo luogo accogliente fatto di ospitalità, fatto di un pensiero dietro alle cose e dove viene coltivata anche la lentezza per una giusta Pausa.

Storia scritta da: Susanna Cro 

A distanza di qualche anno, ancora col ricordo di quel suono da creare per un lavoro e che Andrea in maniera così precisa e sensibile era riuscito a materializzare, mi reco nella sua settecentesca casa di Pieve di Cadore dalla porta scolpita e affacciata sui monti.
Entrando un solido profumo d’antico mi accoglie e dentro a quelle spesse mura tra libri, strumenti e il loquace canarino Beppino, mi siedo. La voce di Andrea mi racconta di quando già da ragazzino, cercando suoni nuovi , sostituiva con una canna di bambù il testale del flauto di scuola, di quando arriva un momento nella vita dove qualcosa si manifesta e ti fa bollire il sangue, ti fa perdere il sonno, ti incuriosisce.
Questo qualcosa, per lui, era legato al passato, al suono ladino degli anziani della locanda, ai vecchi tabià, a delle sonorità non quotidiane che lo hanno fatto partire appena maggiorenne in un viaggio d’andata per il mondo aprendosi a diverse culture, ad un diverso sentire, a floride esperienze musicali, all'osservazione di grandi maestri costruttori e liutai che gli hanno fatto maturare, nella lentezza di una paziente esperienza e di una consapevole assimilazione, l’arte del creare e del suonare moltissimi e particolarissimi strumenti.

La stanza dove li custodisce è come la sua musica: ti porta in un’altra dimensione.
Accompagnata in una passeggiata di parole e suoni, immersa tra quegli innumerevoli strumenti restaurati o costruiti pezzo dopo pezzo nel laboratorio di Andrea, curiosando tra organetti diatonici di fine ottocento, cetre, dulcimer, arpe, liuti, cornamuse e flauti, si respira un’aria di storie vicine all’uomo, di elementi e paesaggi naturali, di atmosfere ed emozioni, di potenti radici arcaiche spesso dimenticate ma presenti.
Se solo penso che ci sono 27 banjo nascosti per la stanza oltre a quelli in vista, mi sento letteralmente in minoranza e circondata da questi incantevoli manufatti vibranti che sembra abbiano un’aura e una personalità umana.
Il pensiero di che sonno e di che sogni possa avere Andrea nel suo letto esattamente al centro della camera e galleggiante tra queste presenze che emettono sonorità mi incuriosisce non poco!
Vederlo abbracciato in una sorta di fusione con ogni suo strumento è un’esperienza meravigliosa, che sospende…e fa sentire come le sue originali composizioni, intrise di echi tradizionali vicini o provenienti da tutto il mondo, possano cullare e rendere liquidi i pensieri, possano scavare dolcemente dentro o far rinvenire gioiosamente i sensi.
Da alcuni anni Andrea ha timbrato il biglietto di ritorno ed è più stanziale in Cadore, ha avuto ed ha sensibili occhi per vedere quanto c’è da esplorare in terra locale e quanto la musica possa ancorarsi ed essere generatore di tessuto sociale.
Per intercettarlo, oltre ai concerti organizzati con il gruppo Al Tei e de La compagnia del Bel Bambin, se si passa per Perarolo vale la pena fermarsi Al covo dei Zater, esattamente sotto le bandiere del municipio, e chiedere al proprietario Luigino se magari quella sera ospiterà nel suo accogliente locale una sua informale improvvisata , rigorosamente dell’ultimo minuto e spesso accompagnata da amici musicisti, per respirare un po’ di quell'aria che lega, di quei suoi accordi mistici o giocosi che saranno sicuramente contagiosi.

Storia scritta da: Susanna Cro 

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